lunedì 21 ottobre 2013

Emozioni positive da evitare


Twittando qua e la mi sono imbattuto in questo interessante articolo che tratta di un aspetto effettivamente poco considerato da molti in quanto, ovviamente (!), abbastanza inverosimile: persone che evitano le emozioni positive come serenità, gioia, felicità, allegria, ecc.

Inverosimile perchè quando si parla di sofferenza e disagio mentale siamo portati automaticamente a credere che conseguenza o principio di tale sofferenza sia proprio una emozione spiacevole, negativa che ci procura disagio: tristezza, angoscia, paura, vergogna, terrore, disgusto, ecc. Tutte emozioni che nelle culture, il più delle volte, hanno una valenza/qualità negativa, che non arrecano alla persona uno stato di rilassamento mentale e spesso anche fisico.

L'articolo descrive, giustamente, due situazioni che spesso portano a questa situazione di evitamento/paura di un'emozione positiva: la prima consegue ad una interpretazione pericolosa dello stato emotivo positivo con conseguente aumento dei livelli di ansia.

Si parla infatti di un'interpretazione (cognitiva!) dell'emozione come condizione di vulnerabilità, fragilità e quindi fonte di pericolo per la persona; da qui il freno e/o l'evitamento (anche fobico, appunto) dell'emozione perchè pericolosa.
Ricordiamoci che l'ansia, cognitivamente (talora, inconsapevolmente) è generata dalla paura che vi sia un pericolo, reale o immaginario, fisico o psicologico, per la persona!
La domanda che si deve porre l'ansioso è: qual è il pericolo che corro in questa situazione, in questo momento, provando questa emozione, ecc e che mi fa agitare? Quale pensiero automatico sta attraversando la mia mente e mi mette in allarme dicendomi che c'è un pericolo?
E la "risposta", a seconda dei casi, sarà impazzire, morire, venir contaminati, malattia, soffrire, restare solo ecc ecc... e queste "risposte", ovvero apprendimenti cognitivi traumatici passati, si configurano con il tempo in disturbi d'ansia (di panico, fobici, ossessivo compulsivi, ecc).
Quindi provare un'emozione positiva attiva in alcuni il pensiero della vulnerabilità, come giustamente descritto nell'articolo. Spesso vi sono traumi legati ad esperienze piacevoli che ci hanno fortemente condizionato nell'esperire emozioni positive: è il medesimo funzionamento dei condizionamenti che mantengono i comportamenti disfunzionali!

Se, ad esempio, nella mia infanzia in una relazione piacevole ho sperimentato continuamente il senso di perdita, l'associazione causale può avvenire fra amore e perdita!
Infatti, alcune persone pensano che sia la relazione che fa stare male mentre altre attribuiscono la causa delle sofferenze all'amore (spesso inconsapevolmente) e rifuggono quelle occasioni che possono essere appunto fonte di gioia e felicità in quanto li esporrebbero ad esperienze di perdita e quindi solitudine (e questo è il "pericolo").

Di conseguenza e veniamo alla seconda situazione spesso si crea un pensiero anticipatorio sulle situazioni fonte di emozioni piacevoli che vengono catalogate come "a rischio"  e che metterebbero la persona in "svantaggio strategico": questo aspetto è più "paranoico" perchè siamo portati a pensare che non trarremo nulla di buono da quella situazione piacevole se non sofferenza.
Anche questa modalità di pensiero è conseguenza di apprendimenti passati: molti bambini infatti sperimentano situazioni familiari di ambiguità in cui vengono derisi, svergognati, umiliati o addirittura puniti se mostrano attaccamento alla figura genitoriale (spesso problematica e incapace di stare in una relazione significativa).
Il bambino, il cui unico bisogno è di attenzione e amore, non potrà che "restare" in queste situazioni sviluppando però diffidenza verso le relazioni che comportano un sentimento di piacevolezza; questi bambini crescendo non sapranno fidarsi degli altri e penseranno che ci sarà sempre qualcosa di nascosto e pericoloso (per sè o all'esterno) dietro una relazione/situazione fonte di emozioni piacevoli o che comunque ci si deve aspettare qualcosa di spiacevole.

Un aspetto importantissimo che l'articolo non ha considerato è la cultura educativa in cui siamo immersi e che ci portiamo dentro: le persone che rifuggono le emozioni positive non sempre presentano sintomi fobici o depressivi dovuti ad interpretazioni errate e disfunzionali di queste emozioni come pericolose (sviluppo di ansia) o fonte di danno e perdita (sviluppo di depressione).
Spesso, semplicemente, non sanno assolutamente cosa sia un'emozione positiva perchè non sono stati abituati a viverla.
La nostra società e, spesso, genitori "poco attenti", sono pronti a castigarci e criticarci quando sbagliamo o quando mostriamo segni di debolezza.
E si badi che con debolezza intendo proprio bisogno di affetto, attenzione, cura.
Difficilmente ho sentito dire da un paziente che il proprio genitore gli diceva "ti voglio bene anche se hai sbagliato"; oppure, in colpa per il poco tempo che dedicano ai figli li viziano credendo che il benessere sia materiale innanzitutto.
Si, sembrano cose da film ma invece è questo: se sbagliamo stan tutti li a giudicarci e punirci mentre se facciamo qualcosa fatta bene difficilmente arriva la gratificazione che ci insegna a stare nell'emozione positiva ma spesso arriva il "hai fatto il tuo dovere" oppure la completa indifferenza.
Il bambino che non viene educato all'emozione positiva sarà un adulto che non la conosce e che, a seconda della situazione vissuta nell'infanzia, sarà da essa impaurito e la rifuggerà oppure non saprà viverla appieno perchè nessuno glielo ha insegnato!
Educare alle emozioni è importantissimo e purtroppo i genitori di oggi perseverano negli errori del passato: non danno importanza alle emozioni positive ma le giudicano come negative.
Ancora sento genitori al cui figlio maschio rimproverano di "comportarsi come una femminuccia", se piange o se è contento eccessivamente: quel bambino imparerà che quelle emozioni, anche se belle, sono da evitare.
La nostra cultura ci impone standard di adeguatezza, prestazioni, fisici, prestanza molto molto elevati: provare emozioni positive può essere un deficit per alcuni perchè non riescono a staccarsi dalle imposizioni culturali che li obbligano a restare in schemi che, purtroppo, hanno già imparato nella loro infanzia e che da adulti la società chiede nuovamente loro.

Queste persone possono trarre enorme beneficio da una terapia in quanto sarà essa stessa il prototipo di una relazione sana, in cui sperimentare sentimenti piacevoli smontando di volta in volta le distorsioni cognitive legate ad essi e vivendosi come persone complete, accettando anche i rischi e rielaborando schemi e credenze su di sè che condizionano le proprie possibilità di crescita emotiva.




venerdì 11 ottobre 2013

Sesso compulsivo e ipersessualità: davvero un disturbo?


A mio parere no; anche se sembra una moda soffrire di sessualità compulsiva o ipersessualità (i due termini sono confusi e spesso interscambiabili).
Personaggi televisivi, del mondo della moda o della musica che disperati ammettono di essere dipendenti dal sesso e cercano di curarsi in apposite strutture....detta altrimenti: per giustificare la propria mancanza di valori e soprattutto di rispetto dell'altro membro della relazione di coppia, ove ci sia, si ricorre alla scusa del disturbo da dipendenza sessuale.
"Disturbo" trasversalmente diffuso tra uomini e donne, etero e omosessuali, sebbene si pensi che il gentil sesso sia vittima per lo più di shopping compulsivo piuttosto che di sesso compulsivo.
Non è vero: dove c'è un uomo che fa sesso compulsivo c'è una donna che pratica la stessa cosa oppure una donna che ha un qualche tipo di dipendenza e non riconosce quello che poi diventerà "quel bastardo che mi ha solo usata"...

Nel "grimorio" di psicologi e psichiatri (ovvero il DSM) è stata aggiunta la formula "Disturbi da Discontrollo degli Impulsi" (DDI), in cui rientrano tutte quelle problematiche a metà strada fra un disturbo ossessivo-compulsivo e la dipendenza patologica, di cui condividono alcune sintomatologie.
Infatti propria del disturbo ossessivo-compulsivo è l'"idea fissa", l'ossessione appunto, che è sempre presente in testa e che genera ansia perchè non si riesce a scacciarla se non grazie alla compulsione/rituale ovvero una qualunque azione/comportamento che soddisfa l'ossessione e consente l'abbassamento dei livelli di ansia.
Dai disturbi di tipo dipendente, per inciso si intende tossicodipendenza, il DDI prende a prestito sintomi quali l'astinenza (l'ordine più corretto, a mio avviso, è psicologica e poi fisica), il "craving" (la ricerca della sostanza quando si è in crisi di astinenza) e tutti i connotati emotivi e comportamentali propri di chi è in crisi di astinenza (fisica!) da sostanza quali aggressività, irrequietezza, ansia ecc ecc..

In comune questi disturbi hanno la cosiddetta "addiction", cioè la dipendenza e l'ansia che ne deriva e che è il fattore (leggasi sintomo) comune di tutta la categoria.

Chi mi conosce professionalmente (e non solo) sa che non vado molto d'accordo con le definizioni dei vari disturbi e con le etichette da dare alle persone...per quanto siano esse stesse che in primis, cercando su internet, si auto-attribuiscono queste etichette patologiche.
Certo ci e mi servono per capire in prima istanza il tipo di sofferenza che affligge una persona ma, come dicevo all'inizio, io non credo che tali problematiche siano dei disturbi definiti ma l'espressione di un bisogno, di una paura dello stesso bisogno e un comportamento messo in atto per evitare entrambi.

La sessualità compulsiva, che difficilmente viene messa in atto con lo stesso partner ma con partner diversi e il più delle volte occasionali, riflette spesso l'incapacità della persona di restare coinvolta intimamente in una relazione.
Ci sono persone che decidono serenamente e consapevolmente di non avere relazioni, restare single e "darsi alla pazza gioia", sessualmente parlando: nulla da obiettare se la scelta è consapevole e si ha rispetto per se stessi e per gli altri.
Ci sono persone che sono in coppia e tradiscono compulsivamente, mancando di rispetto verso sè, perchè mentono innanzitutto a se stessi continuando a stare in una relazione che non vogliono (il più delle volte) e soprattutto all'altro che forse crede davvero in quel valore che è la fedeltà e che invece l'altro membro finge di condividere.
Poi ci sono i single che vorrebbero una relazione ma temono di essere infedeli; gli indecisi insomma, quelli che non sanno nemmeno loro cosa vogliono dalla vita.
Ebbene, dal mio punto di vista, per queste ultime due categorie è stata confezionata la "scusa" della dipendenza sessuale, compulsiva, l'ipersessualità; ripeto che i confini "diagnostici" di queste definizioni sono molto labili.

Se siamo all'interno della coppia che non parla, che non trova più spazi per viversi come tale, che è presa da altro, sarà "normale" cercare altrove le gratificazioni, soprattutto di tipo sessuale.
A meno che non ci si trovi un amante fisso/a, si andrà di fiore in fiore generando un circolo vizioso che assumerà il carattere di sessualità compulsiva.
Molti single invece (uomini e donne indifferentemente) dietro l'ipersessualità e il sesso compulsivo nascondono spesso, paradossalmente, la paura del sesso stesso: sesso che porta malattie, sesso che genera ansia da prestazione con conseguente paura di fallire, sesso come bisogno di dimostrare di riuscire in qualcosa (ebbene si, per taluni anche questo). 
Spesso queste persone hanno un tale timore (inconsapevole il più delle volte) di rimanere coinvolti in una relazione a due, seria, profonda, intima, che preferiscono questo genere di sessualità: nessuno ha nulla da dire all'altro. Niente rapporto, solo sesso.

Dunque nel primo caso, cioè all'interno della coppia, abbiamo dei bisogni di attenzione, gratificazione, comprensione che non vengono più soddisfatti pienamente dal partner per milioni di motivi. 
Spesso non si parla di questo perchè "tanto ormai va così"...e arrivano gli amanti o lo "sballo" attraverso una sessualità promiscua (e pericolosa!).
A lungo andare, questo meccanismo, che diventerà una abitudine comportamentale, si sarà configurato come il tanto da me criticato disturbo da ipersessualità.
Per i single stesso discorso...la differenza potrebbe essere che il timore di vivere una relazione seria derivi da traumi e/o apprendimenti passati che condizionano fortemente il nostro modo di pensare in merito alle relazioni intimo affettive e sessuali.
Il sesso compulsivo occasionale, con sconosciuti, a pagamento o, per alcuni, la masturbazione compulsiva, diventano il mezzo per evitare il faccia a faccia con la paura di restare invischiati in una relazione e subire....chissà cosa??
E, ancora, coloro che non sanno nemmeno cosa vogliono: da se stessi, dalla relazione; confondono la passione con l'amore e non hanno valori stabili, finendo col prendere in giro se stessi e la persona con cui stanno.
Qualcuno si arrabbi pure se vuole ma se io tradisco all'insaputa dell'altro per il quale il valore della fedeltà e della coppia è importante sono un vigliacco che manca di rispetto all'altra persona e a me stesso.
Meglio restare soli o capire perchè dobbiamo/vogliamo per forza stare in coppia (e starci male, facendo soffrire l'altro e noi stessi!).

Quindi ribadisco che non considero una categoria diagnostica a sè la sessualità compulsiva, per quanto siano stati creati appositi protocolli terapeutici per trattare i DDI.
Ovviamente, trattandosi di "condizionamenti" questi protocolli saranno ottimi per rimettersi dal sintomo (come, per capirci, per gli attacchi di panico) ma i bisogni e gli evitamenti che sono generati da schemi disfunzionali restano tali e immodificati.

Il mio consiglio è quello di rivolgersi ad uno psicologo per affrontare quelle che sicuramente sono idee errate, anche inconsapevoli, sulle relazioni intime, sul sesso e, spesso, sull'immagine che abbiamo di noi stessi così da poter vivere serenamente e consapevolmente le nostre scelte, in coppia o da single.


giovedì 3 ottobre 2013

Riconoscere la felicità nel presente

In questo post non scriverò nulla se non ricopiare una storia che ho trovato fra vari appunti: è una storia triste, di cui non conosco l'autore, che ci da uno spunto di riflessione per guardare con occhi diversi le avversità che talora sembrano soverchiarci.
Il messaggio non è "essere felici sempre e comunque": non sarebbe possibile.
Piuttosto è "adottare altri punti di vista, provare a cambiare ciò che sino ad ora non è stato fruttuoso" o al più "accettare", per potersi rialzare da qualunque situazione ed intraprendere una nuova strada.


Due uomini, entrambi molto malati, occupavano la stessa stanza d'ospedale. 
A uno dei due uomini era permesso mettersi seduto sul letto per un'ora ogni pomeriggio, per aiutare il drenaggio dei fluidi dal suo corpo.
Il suo letto era vicino all'unica finestra della stanza.
L'altro uomo doveva restare sempre sdraiato.

Infine, i due uomini fecero conoscenza e cominciarono a parlare per ore.
Parlarono delle loro mogli e delle loro famiglie, delle loro case, del loro lavoro, del loro servizio militare e dei viaggi che avevano fatto.

Ogni pomeriggio, l'uomo che stava nel letto vicino alla finestra poteva sedersi e passava il tempo raccontando al suo compagno di stanza tutte le cose che poteva vedere fuori dalla finestra.
L'uomo nell'altro letto cominciò a vivere per quelle singole ore nelle quali il suo mondo era reso più bello e più vivo da tutte le cose e i colori del mondo esterno.

La finestra dava su un parco con un delizioso laghetto. Le anatre e i cigni giocavano nell'acqua mentre i bambini facevano navigare le loro barche giocattolo.
Giovani innamorati camminavano abbracciati tra fiori di ogni colore e c'era una bella vista della città in lontananza. 

Mentre l'uomo vicino alla finestra descriveva tutto ciò nei minimi dettagli, l'uomo dall'altra parte della stanza chiudeva gli occhi e immaginava la scena.

In un caldo pomeriggio, l'uomo della finestra descrisse una parata che stava passando. Sebbene l'altro uomo non potesse sentire la banda, poteva vederla con gli occhi della sua mente così come l'uomo dalla finestra gliela descriveva.

Passarono i giorni e le settimane.

Un mattino, l'infermiera del turno di giorno portò loro l'acqua per il bagno e trovò il corpo senza vita dell'uomo vicino alla finestra, morto pacificamente nel sonno.
L'infermiera diventò molto triste e chiamò gli inservienti per portare via il corpo.
Non appena gli sembrò appropriato, l'altro uomo chiese se poteva spostarsi nel letto vicino alla finestra.
L'infermiera fu felice di fare il cambio e, dopo essersi assicurata che stesse bene, lo lasciò solo. 

Lentamente, dolorosamente, l'uomo si sollevò su un gomito per vedere per la prima volta il mondo esterno.
Si sforzò e si voltò lentamente per guardare fuori dalla finestra vicina al letto. 

Essa si affacciava su un muro bianco.

L'uomo chiese all'infermiera che cosa poteva avere spinto il suo amico morto a descrivere delle cose così meravigliose al di fuori da quella finestra.

L'infermiera rispose che l'uomo era cieco e non poteva nemmeno vedere il muro.

Epilogo: vi è una tremenda felicità nel rendere felici gli altri, anche a dispetto della nostra situazione. Un dolore diviso è dimezzato ma la felicità divisa è raddoppiata.
Se vuoi sentirti ricco conta le cose che possiedi che il denaro non può comprare.
L'oggi è un dono, è per questo motivo che si chiama presente.

mercoledì 2 ottobre 2013

Depressione: in aumento il consumo dei farmaci


La paura, la vergogna e la demotivazione a vivere
 ed agire che caratterizzano la depressione
 ci impediscono di riconoscere e sfruttare
 le infinite possibilità che riempono il mondo.
(M.F.)



Qualche giorno fa è apparso un articolo sul consumo di farmaci psicotropi da parte degli italiani.
Il rapporto annuale  dell'AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) riferisce che in Italia il consumo di farmaci antidepressivi è notevolmente aumentato negli ultimi anni, soprattutto fra donne e anziani e che la causa sarebbe principalmente imputabile, sempre secondo l'AIFA, alla crisi che il nostro Paese sta attraversando.
A smentire questa relazione causa-effetto così netta è però l'Eurispes; ed io appoggio pienamente quanto rivela quest'ultimo rapporto.

Al di la della cause "presunte" dall'AIFA o dall'Eurispes, che sono solo ipotesi fuori da ogni possibile riscontro nella realtà, perchè, onestamente e personalmente, non credo proprio che questi signori statisti/giornalisti conoscano quale sia lo stato umorale delle persone che vivono in Italia, non lo trovo affatto ragionevole e quindi  possibile che il tasso di aumento di un prodotto farmaceutico come l'antidepressivo sia indicativo anche di un correlato aumento di disturbi dell'umore quali, appunto, la depressione.

Anzi io dico che sarebbe auspicabile che fosse così: perchè vorrebbe dire che le persone negli ultimi anni hanno iniziato a prestare attenzione al loro stato di salute mentale e si rivolgono ai professionisti del settore che li aiutano in maniera adeguata.

Dalla mia esperienza con i pazienti ma non solo, anche con amici o conoscenti che, per un motivo o per un altro, si sono trovati ad attraversare momenti di forte stress, accompagnato talora anche da sintomi ansiosi o di umore depresso, ho notato che questi, rivolgendosi al proprio medico "di fiducia" (leggasi medico di base) per parlargli della propria sintomatologia (perchè magari, giustamente, han pensato ad un problema fisico), si sono ritrovati dopo qualche minuto con in mano una bella ricetta per cipralex, paroxetina, zoloft oppure alprazolam, xanax ed è inutile che continui con la lista di antidepressivi o ansiolitici.
Insomma un classico "È un pò di stress; stai un pò esaurito: prendi un pò di questo e vedrai che ti passa!"

Ammetto che però sarebbe una gran cosa se il medico "di fiducia" fosse almeno aggiornato sui più recenti farmaci antidepressivi o ansiolitici piuttosto che dare un farmaco preistorico contro i cui effetti collaterali gli psichiatri "illuminati" ancora combattono per rimediare ad "orrori" commessi in passato  e che sono stati e tuttora sono la rovina di molte persone (ansia da rimbalzo, ossessioni, disregolazione umorale, problemi metabolici, insonnia, ecc.); gran cosa sarebbe anche non vedere i signori medici di base mentre cercano disperati sulla loro incasinatissima scrivania quel farmaco, quella locandina, quel bigliettino che qualche giorno prima  un qualche informatore scientifico ha lasciato, presentandogli un nuovo prodotto psicotropo che subito verrà prescritto al mal capitato (che, per chi non lo sapesse, equivale spesso ad un introito di qualche natura anche per il medico).

Quindi questa aspra critica per dire che saranno sicuramente aumentate le vendite degli antidepressivi ma purtroppo ciò non corrisponde alla "CURA" adeguata di tali disagi.
E ne è dimostrazione il fatto che non solo donne ma giovani e giovanissimi vengono travolti da disagi come la depressione, che troppo spesso, ultimamente, li portano a gesti estremi quali il suicidio e tutto perchè qualcuno ha pensato che fosse un "periodo no", piuttosto che un po' d'ansia o "problemi tipici dell'età".
Ignorando, non riconoscendo e trascurando un male quale è la depressione che in troppi credono incurabile e che in moltissimi, dai familiari ai medici, non riescono a vedere e a coglierne gli indizi affinchè possa essere curata, ebbene si, dai primi segnali.
E ancora una volta io mi ritrovo a dire ciò che molte persone credono invece impossibile: dalla depressione si guarisce, la depressione passa, farmacologicamente e con l'aiuto di  una terapia adeguata (come la cognitivo comportamentale, scientificamente dimostrata efficace) che, se fatta bene, consentirà anche di tornare a vivere senza farmaci (cosa che molti temono).
La depressione ci spegne giorno dopo giorno; è più facile pensare che prima o poi questo o quel farmaco farà finalmente il suo dovere e si ricomincerà a sorridere, ad uscire, a gioire della vita. 
E nell'attesa che ciò avvenga ci si ritira sempre più dalla vita, ci si rinchiude sempre più nel proprio mondo di malinconia, di solitudine, di perdita, di rabbia, di dolore e tutto lentamente si spegne.
La crisi che hanno voluto mettere in mezzo per giustificare l'aumento della depressione anzi delle depressioni obbliga a pensare anche alla spesa che occorre per sostenere un percorso di guarigione; ovvio che visto nel breve termine, di questi tempi, tutti saremmo portati a pensare che è meglio non "sprecare" soldi.
La questione è il lungo termine: cosa, se non riusciamo a risollevarci dal baratro della depressione, ci porterà in termini di perdite?Se non si avrà più la forza e la voglia di uscire a lavorare, di tirare avanti perchè la depressione porta a questo, sarà stata vana cosa il risparmio odierno, non trovate?
Quindi meglio pensare ad un investimento futuro per la propria salute, una sorta di assicurazione per la vita, che però sarà pagata per poco tempo ma che durerà per moltissimo, se non per sempre.


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