martedì 23 luglio 2013

" Talent Show" : se il SUCCESSO è tutto ciò a cui puntiamo


Qualche notte fa, asfissiato dal caldo notturno che mi impediva di dormire, facevo "zapping" ossessivo e, soprattutto, afinalistico pur di trovare miracolosamente qualcosa che mi annoiasse e stremasse abbastanza e mi facesse addormentare.
In questo girovagare televisivo mi sono soffermato su un programma che mostrava un gruppetto di ragazze, di età non superiore a 16 anni credo, che cantava e si dimenava a più non posso.
Chi mi conosce sa bene che aborro questo genere di programmi e non li considero affatto "un'occasione", come qualcuno può sostenere.
Credo si trattasse del famoso X-Factor, made in USA di cui, ovviamente, ne abbiamo una versione anche in Italia e in ogni dove.
Di certo non è una critica ai programmi questo articolo ma a ciò che anima i partecipanti, spesso ragazzi e ragazze molto giovani che impegnano tutta la loro vita per cercare di emergere come cantanti, ballerini o quello che sia.
Non è forse lecito avere un sogno e tentare di realizzarlo? Assolutamente si; anche avere davvero un talento e tentare di farsi notare, di emergere per farne la propria professione è assolutamente lecito.
Infatti, questi programmi in sè non avrebbero nulla di male.
La cosa che mi lascia perplesso e mi rattrista anche un pò è vedere giovani, anche giovanissimi ragazzi e ragazze che pensano che la loro UNICA possibilità di realizzazione nella vita sia offerta da quel programma.
Ascoltando il programma e le interviste che venivano fatte ai partecipanti, questi riferivano frasi come "Sarebbe terribile se venissi eliminato/a adesso!", "Mi sentirei fallito/a se non arrivassi in finale!", "Cantare è tutto ciò che è importante nella mia vita!" ed altre di queste espressioni che mi hanno fatto riflettere su quello che può essere considerato un valore importante per la realizzazione personale e, di conseguenza, per il mantenimento della propria autostima.
Da considerare poi che questi giovani talenti erano accompagnati e fomentati (è proprio il caso di dirlo) dai propri genitori che assecondavano totalmente il modo di pensare dei propri figli (da chi lo avranno imparato poi....??).
Qual è il punto?
Passi che la società americana è improntata al successo personale e all'autorealizzazione da sempre; questa modalità made in USA non è di certo italiana ma stiamo facendo di tutto per importarla e "scimmiottarla", nella peggiore delle maniere, creando una generazione per la quale la propria autostima e il senso di auto efficacia si risolvono nell'essere dipendenti dal giudizio di un altro e con un'idea totalitaria di fallimento.
Ho visto in passato qualche puntata di questi show italiani e anche li si ripetevano medesime scenate di ragazzi "disperati" per non aver passato un turno; incitamenti di "insegnanti" e genitori (peggio!) a dare il massimo perchè altrimenti non vi era alcuna possibilità di successo.
Possibile, mi son chiesto, che ci siano così tanti genitori che insegnano ai loro figli che la vita è anche altro?
Che la loro vita, quindi loro stessi come persona, vale molto di più di quello che possono mostrare ad un altro estraneo che li giudica?
Una vecchia teoria, sempre attualissima, vuole che il genitore narcisista che non ha saputo/potuto realizzare qualcosa di spettacolare per sè, cerca di fare in modo che sia il figlio (estensione narcisistica del genitore) a farlo per lui.
Un'altra corrente vorrebbe che, viste le privazioni avute loro stessi da giovani, vista la facilità con cui oggi si può brillare in uno show, molti genitori sono più "permissivi", credendo loro stessi che sia cosa buona e giusta inseguire un sogno, se lo si ha piuttosto che perder tempo a prendere "un pezzo di carta"!
Passino entrambe queste modalità; il problema di fondo rimane uno: questi genitori non sanno insegnare ai propri figli che la vita è fatta da tante cose, ognuna con la sua importanza relativa e, soprattutto, il riuscire o meno in una di esse NON è indicativo di FALLIMENTO.
Molti ragazzi di oggi che tornano a casa da scuola ed hanno preso un voto di sufficienza vengono travolti dalle ire del genitore che inizia a paragonarlo con chi "è meglio" perchè ha preso di più, con chi si impegna di più (e quindi il figlio è uno sfaticato, se gli va bene); iniziano i vari "non riuscirai in nulla nella tua vita!", "sei una delusione", "sarai un fallito" e potrei continuare all'infinito.
E questo dicasi anche per lo sport, le amicizie e tutto ciò che può essere "misurato".
Cosa impara il pargolo (perchè tutto ciò inizia sin da tenera età...)? Sono un buono a nulla; sono un fallito; non so fare niente; i miei genitori non mi amano perchè sono un fallito/incompetente/inadeguato.
E non è sempre e solo la frase detta per "incitare" ma anche le espressioni di disapprovazione, di delusione: tutti segnali che vengono letti dall'altro come "NON VAI BENE!SEI UNA DELUSIONE".
A nessuno viene in mente di dire "Era una prova difficile, sei stato bravo ed hai fatto del tuo meglio!"

Tutto ciò ci porta a pensare che per essere accettati/amati dagli altri (genitori in primis) dobbiamo avere successo, eccellere altrimenti ci aspetta il fallimento e la nostra vita sarà una tragedia in tutto.


Ci sono tantissime persone che fanno questo tipo di ragionamento: chi da sempre e ormai, grandi, vive con ansia da prestazione, disturbi dell'umore, ossessioni o qualunque altro sintomo sia riuscito a "tamponare" l'ansia da fallimento; chi sta iniziando ora e non ha nessuno che gli insegni che nella vita c'è altro di importante e che la nostra persona, il nostro essere più profondo, ciò che ci rende una persona degna di amore e con una buona autostima e un buon senso di auto efficacia dipende da altro.

Imparare a raggiungere traguardi importanti è fondamentale per ogni persona; accettare che talora possiamo non farcela e "sopravvivere" comunque alla delusione è fondamentale per il nostro benessere psicologico.
Troppe tragedie di questi tempi, di giovani vite spezzate, parlano molto chiaramente di quello che ho scritto sommariamente in queste righe.

mercoledì 10 luglio 2013

Psicologo, Psicoterapeuta, Psichiatra: chi sono?


Una brevissima descrizione per far luce su chi sono queste figure professionali, esperti della salute mentale, che molto spesso vengono confusi, scambiati, temuti o completamente ignorati e che la cosa lampante che hanno in comune è quella bella PSYCHÈ quale radice comune e che in greco significa ANIMA: quindi, tre "esperti dell'anima".

Iniziamo dallo psicologo: la parola è sulla bocca di tutti, anche senza motivo e, contemporaneamente, per i più svariati di motivi, dall'offesa ("fatti curare da un bravo psicologo") allo status symbol ("il mio psicologo dice che devo fare, dire, comportarmi ecc.).
Lo psicologo è solo un laureato in psicologia; nulla di più, nulla di meno.
Tempi addietro, il diploma di laurea in Psicologia, della facoltà di Scienze della Formazione (Ex Magistero, per essere proprio arcaici!!!) constava di 5 anni più uno post lauream di tirocinio obbligatorio per poter sostenere l'esame di stato ed essere, finalmente, abilitati e iniziare a far danni (!!!).
Esisteva un biennio comune a tutti e un triennio con quattro indirizzi differenti: psicologia clinica e di comunità - per i "problemi" degli adulti e per accedere, appunto, nelle comunità terapeutiche-, psicologia dell'età evolutiva - per chi aveva la passione dei bambini e degli adolescenti e relativi problemi (accollandosi di conseguenza, il più delle volte, tutta la famiglia!), psicologia del lavoro - esperti (??) testisti e selezionatori, programmatori di risorse umane aziendali -  e, infine, psicologia sperimentale, per gli appassionati di ricerca (di modelli di funzionamento della mente).
Ammetto la mia ignoranza rispetto a come sia attualmente configurata la (povera) facoltà di psicologia: l'ultima volta che ci ho dato un'occhiata ho visto che erano sorte una miriade di sotto specializzazioni.
Spero non si offenda nessuno (tanto so che lo faranno...gli psicologi son permalosi) ma già a quel tempo i 5 anni di laurea erano inutili, nel senso che uscivi dalla facoltà che non sapevi un bel niente della mente umana nè eri diventato un mago che leggeva nel pensiero, interpretava sogni e capiva tutti i tuoi reconditi segreti; adesso hanno reso questa facoltà ancora più inutile e poco formativa, con poca o nulla formazione clinica e dei tirocini assolutamente inadeguati, fatti anche durante il corso stesso di laurea, quando si sa ancora meno di clinica (leggasi "mente" e relativi disagi e/o esperienze di vita differenti, mondi altri da sè)..
Ma sorvoliamo sulle critiche ovvie all'università chè sarebbe come sparare sulla croce rossa! 
Il problema è che gli psicologi, una volta laureati e abilitati, sono belli che autorizzati a comprare e somministrare test psicologici, firmare relazioni sullo stato mentale di una persona (fare diagnosi) e condurre colloqui di sostegno psicologico (counselling psicologico), che mai nessuno ha capito quanti dovrebbero essere per non diventare una terapia personale (nè mai nessuno ha capito in cosa consistano , vista la carenza di esperienza clinica di cui sopra).
Quindi che fa uno psicologo? Un bel niente! E mi si venga a dire il contrario!
Nulla contro la buona volontà dei giovani psicologi ma è una questiona molto pratica di esperienza clinica; non la voglio chiamare "gavetta" ma non tutti gli psicologi hanno, per esempio, la fortuna di fare un tirocinio davvero formativo: molti fanno fotocopie per un anno e di "vedere" un paziente manco col binocolo.
Quindi si, prima di poter "fronteggiare" una persona, un altro essere umano, bisogna avere esperienza.
Non si parla di pazienti di un reparto che per i medici sono le loro cartelle; non si tratta di clienti che riempiono, eventualmente, i portafogli: sono persone che soffrono quelle che si rivolgono ad uno psicologo e bisogna avere l'onestà umana e professionale di sapere cosa si sta andando a fare.

Quindi che fare dopo la laurea se ben poca cosa posso fare come psicologo abilitato (parlando di aiutare le persone)?
Tocca prendere una specializzazione post lauream: altri 4 anni (talora 5, per le scuole che  obbligano la formazione personale) a studiare e (tanti) soldi che se ne vanno.
La specializzazione in psicoterapia è quella che "forma" lo psicologo e gli da teorie, strumenti e tecniche per aiutare davvero le persone, alleviandone e/o risolvendone i disagi.
Basta fare una ricerca su internet per leggere svariati aggettivi che accompagnano la parola psicoterapeuta e psicoterapia: cognitivo - comportamentale (come il sottoscritto), rogersiana, dinamica, strategica, sistemico - relazionale, integrata, junghiana, ecc ecc, fino agli psicoanalisti che, pur essendo psicoterapeuti come tutti gli altri, devono esser chiamati psicoanalisti.
Come dicevo, negli anni di specializzazione vengono apprese tecniche e metodi di aiuto che nascono dalla teoria di riferimento specifica che distingue quella scuola di pensiero e che, in parole povere, "spiega il funzionamento mentale" e, in particolare, il disturbo: perchè nasce, come si mantiene, come si cura.
Di solito prima di scegliere la scuola di specializzazione, ogni saggio psicologo studia un pò i vari approcci per cercare di capire almeno la sua di mente che tipo di funzionamento ha, così da avvicinarsi alla scuola con la quale condivide la propria struttura mentale!

In conclusione, le varie scuole di specializzazione sono differenti approcci ai problemi della persona. Personalmente mi sento di dire che non è fondamentale che si conosca tutto questo di uno psicoterapeuta: il rapporto che si instaura fra una persona sofferente e il professionista cui si rivolge è innanzitutto di tipo umano e di fiducia reciproca. Se mancano questi due elementi non si creerà mai una relazione e, quindi, non vi sarà nessun aiuto possibile, nemmeno conoscendo tutte le tecniche di questo mondo!
Infine, sarebbe auspicabile che un bravo psicoterapeuta non sia troppo rigido sulle proprie teorie ma disposto ad integrare nelle sue conoscenze e competenze teorie e tecniche di approcci differenti: lo scopo ultimo di tutte le scuole di pensiero deve essere il benessere del paziente, cioè della persona!

Lo psichiatra, infine, è innanzitutto un medico, un laureato in medicina e chirurgia (lo psicologo NON è un medico!) che dopo la laurea ha conseguito una specializzazione in psichiatria.
Per la legge italiana, forse perchè hanno studiato troppo, gli psichiatri sono (purtroppo!) riconosciuti psicoterapeuti; per fortuna, i più onesti che vogliono praticare anche come psicoterapeuti svolgono un ulteriore percorso di formazione in psicoterapia.
Lo psichiatra è il medico che da i farmaci per i disagi mentali: lo so, è brutale e riduttivo ma almeno ci capiamo subito.
Ovviamente non è solo questo nè, soprattutto, il fatto che sia esperto di farmaci per i disagi mentali lo configura come il "medico dei pazzi" anzi...DEVE essere uno psichiatra a fornire il supporto farmacologico!
Sono loro che hanno la formazione adeguata, medica e farmacologica, per operare la giusta scelta di farmaco ed adattarlo adeguatamente alle esigenze di ogni singola persona.
Non è il neurologo cui ci si deve rivolgere se si è depressi o si ha l'ansia nè tanto meno farsi dare farmaci dal medico di famiglia o, peggio, dal farmacista (che dovrebbe anzi indirizzare da uno psichiatra, cosa che troppo poco avviene): la gente continua ancora a pensare che il neurologo è il medico dei nervi, della testa e quindi se uno sta "male di testa" deve andare dal neurologo. Lo psichiatra è tabù: quello è il medico dei pazzi.
Ovviamente senza nulla togliere alla formazione e alla professionalità di neurologi, medici di base e farmacisti la scelta deve ricadere sullo psichiatra, sperando che prima o poi lo stigma che lo attanaglia sia spezzato!
Sarebbe buona cosa che nell'approccio al disagio di una persona vi fosse la comunicazione fra tutte queste figure, professionisti della salute mentale: lo psicologo - psicoterapeuta che ne ravveda la necessità deve poter saper indirizzare il proprio paziente da uno psichiatra di fiducia e la persona deve poter esser certa che la scelta che sta venendo operata è solo per il suo bene.
Lo stesso dicasi per i medici di base e i farmacisti: sarebbe auspicabile che riuscissero ad inviare le persone che si rivolgono a loro con disagi psicologici ai giusti professionisti per intraprendere un percorso di cura, eventualmente.

Spero chiarezza sia stata fatta su queste "strane" figure...

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