venerdì 24 dicembre 2010

Abbuffate natalizie, sensi di colpa e diete riparative...


Buone mangiate a tutti!
Perchè lo sappiamo tutti e, soprattutto, lo facciamo tutti: durante i periodi di festività si mangia tanto e di tutto!
Sarà perchè durante questi giorni di festa si è spesso in compagnia, sarà che il calo delle temperature ci costringe  a riscaldarci anche facendo sport mascellare, sarà che le prelibatezze delle festività natalizie sono tanto buone e irresistibili!
E un pò tutti ci concediamo di esagerare con il cibo, con i dolci, con i brindisi: insomma, pancia mia fatti capanna!
Ma ben venga se, grazie ad una ritrovata rilassatezza concessa dalla pausa lavorativa natalizia, riusciamo ad allentare lo stress anche grazie al cibo.
Questi giorni possono essere utilissimi per prendersi una pausa dallo stress lavorativo, fisico e psicologico, permettendoci di dedicarci a cose molto importanti ma spesso un pò trascurate, anche se non si vorrebbe: la famiglia innanzitutto, gli amici, il divertimento legato allo stare insieme e alla voglia di condividere piccoli grandi momenti di pace.
Ma quante volte, come ogni anno, ci ritroviamo ad esagerare con il cibo per poi dirci la famosa frase "dopo le feste mi metto a dieta"?
Buon proposito, specie perchè tecnicamente è il primo per l'anno nuovo!
Attenzione però alle diete riparative super restrittive che puntualmente giornali, tv, internet e chissà che altro ci propongono.
Ricordiamoci o se non lo sapevate prendetene nota che il nostro corpo è davvero una macchina perfetta e, in particolare per quanto riguarda l'alimentazione, ha una memoria formidabile!
Cosa intendo dire con questo? Un concetto abbastanza semplice che la macchina dell'economia sociale non rivela, immagino per questioni di "business": le diete lampo, diete magiche e miracolose che promettono di perdere tanti chili e in fretta, diete anoressizzanti, oltre che frustranti, sono assolutamente inutili.
Il metabolismo del corpo (la capacità delle cellule di bruciare e assimilare calorie) è un meccanismo intelligentissimo: bruciamo calorie fino a quando queste vengono immesse nel corpo attraverso il cibo e il nostro metabolismo "si adatta" alla quantità di cibo introdotta. Quindi, se mangiamo tanto per un lungo periodo ingrossiamo; se decidiamo di fare un'improvvisa e drastica dieta perdiamo peso...per qualche tempo!
Tutti avremo sperimentato il fallimento delle diete miracolose che vengono proposte.Perchè accade?
Come dicevo, il meccanismo del metabolismo è molto intelligente: quando si inizia una dieta particolarmente restrittiva da un giorno all'altro, le nostre cellule, semplicemente e in un modo meravigliosamente intelligente, rallentano il metabolismo! Questo vuol dire che sicuramente perdiamo peso ma solo perchè il corpo è come se fosse mezzo addormentato nella sua attività metabolica.
Questo lo capiamo nel momento in cui, soddisfatti del nuovo peso, riprendiamo a mangiare più o meno normalmente: non appena il quantitativo di calorie aumenta, il metabolismo cellulare "si risveglia", assimilando immediatamente tutto ed ecco il drastico fallimento della dieta appena terminata poichè, lentamente, iniziamo a riprendere peso.
Quindi due uniche soluzioni ai sensi di colpa causati da queste feste: continuare a "punirsi" portando avanti diete restrittive per tutta la vita, con la conseguenza di condurre un triste vita senza i piaceri del cibo oppure, già durante queste feste, mantenere un'alimentazione "sana" e, soprattutto, continuarla dopo le feste.
I sensi di colpa che generano pensieri negativi sulla nostra immagine corporea e, quindi, sulla nostra immagine personale e la nostra autostima, sostituiamoli con le immagini e i pensieri positivi che vivremo durante queste feste: prenderci cura di noi stessi, stare con la famiglia e gli amici, sorridere e vivere un senso di comunione con gli altri.

I consigli dunque:
1. Non esagerare eccessivamente con cibi iper calorici: dolci, condimenti ricchi di grassi, alcool
2. Non mangiare a tutti i costi fino a sentirsi male: è bello mangiare in compagnia ma è ancora più bella la compagnia stessa!
3. Verdure e frutta a volontà non devono mancare assolutamente fra le prelibatezze natalizie
4.Evitiamo i riposini appena dopo mangiato: meglio una bella passeggiata che aiuti a digerire
5. Dopo le feste niente diete drastiche: riduciamo il quantitativo di cibo e aumentiamo il consumo di frutta e verdura.Ricordiamoci che abbiamo un metabolismo che in quanto a "lotta per la sopravvivenza" ci batte!!
6.Godiamoci queste feste come meglio crediamo, con spirito predisposto verso gli altri e con il piacere di dedicare un pò di tempo a noi stessi e alle persone a cui vogliamo bene.
Cibiamoci di queste emozioni e facciamo ingrossare la nostra autostima piuttosto, assieme ai sentimenti positivi che possiamo sperimentare in questo periodo.

Colgo l'occasione per augurare a tutti un felice Natale.

sabato 18 dicembre 2010

Parkinson:lento il movimento lenta l'accettazione

Questo articolo non vuole essere una trattazione medica della malattia di Parkinson: non ne avrei le competenze, non essendo un medico.
Vorrei piuttosto delineare le difficoltà anche psicologiche che, molto spesso, accompagnano le persone affette da questa malattia.
Da qualche anno lavoro al Neuromed, un ospedale che si occupa principalmente di disordini neurologici: mi occupo di sperimentazione farmacologica in malattie neurologiche quali il Parkinson, la Sclerosi Multipla, l'Alzheimer, fra le più note.
Questo tipo di lavoro mi permette di fornire anche supporto psicologico ai pazienti che si rivolgono all'ospedale e che vengono seguiti dai neurologici con cui collaboro.
Quindi, non una competenza medica ma una conoscenza psicologica dei vari vissuti di sofferenza psicologica che queste persone hanno.
Il Parkinson, oggetto di questo articolo, è un disordine neurologico che comporta, al suo esordio, lentezza e rigidità del movimento di un arto, di entrambi gli arti dello stesso lato o di entrambi i lati del corpo.
Generalmente, immaginiamo il Parkinson come una malattia della vecchiaia.
In realtà non è esattamente così poichè esiste anche un Parkinson ad esordio precoce, che si manifesta nella prima età adulta, attorno ai 40 anni.
E se, generalizzando e volendo essere superficiali, viene più facile accettare questo tipo di malattia quando si ha una certa età, sebbene comporti sempre una sofferenza e un costo sociale e affettivo alti, la condizione psicologico-emotiva di una persona con un Parkinson ad esordio precoce comporta, forse, un maggiore disagio.
La depressione, che quasi in tutti i casi accompagna la malattia o ne è un sintomo di esordio, tende a peggiorare a causa delle implicazioni che il Parkinson comporta: giovani uomini di 40-50 anni che sentono il peso della malattia come un macigno che li distrugge e gli impedisce di vivere la loro vita.
L'autostima cade a picco e il senso di efficacia personale si riduce: la stanchezza non permette di essere attivi "come un tempo", fare qualche passo in più durante una passeggiata diviene una sofferenza e persino il dormire non è soddisfacente.
Questi sono per lo più le conseguenze fisiche...sul piano personale poi, c'è spesso la vergogna di essere un malato di Parkinson (cosa pensera la gente vedendomi?mi compatirà?), il senso di colpa per il pensiero di essere un peso per i propri familiari, l'idea che non si è più prestanti come prima porta lo sconforto perchè spesso c'è il pensiero negativo di "non poter più servire" agli altri a cui si vuole bene, la famiglia in primis.
E, spesso, lavorare, cercare di condurre una vita "normale" diviene una sfida con se stessi che, purtroppo, viene spesso persa.
Spesso, in queste persone ho osservato come ci sia il tentativo, comprensibile, di voler continuare a fare esattamente ciò che facevano prima e allo stesso modo; la completa non accettazione della malattia, alle volte, fa si che non si accettino le "vie di mezzo": o faccio quello che facevo prima allo stesso modo o non so fare più nulla.
Accettazione significa questo: riuscire ad entrare nell'ottica che va bene anche dare 9 invece che 10 o anche 8 o 5, che è sempre meglio di 0.
Se invece i pensieri negativi sulla malattia e su quello che "toglie" alle capacità e alle possibilità di una persona malata di Parkinson predominano, la persona si sentirà frustrata, arrabbiata e con un senso di solitudine, di tristezza e di inefficacia, facendo si che sintomi quali depressione, ansia, panico si aggiungano al disagio fisico.
Nella mia esperienza ho potuto constatare quanto faccia bene a queste persone avere un confronto che faccia loro capire, con i giusti tempi, che Parkinson non vuol dire "STOP" piuttosto "RALLENTA".
Quindi, non lasciate che i vostri pensieri negati fermino la vostra vita.
Rallentare, visto da un altro punto di vista, può anche voler dire godere maggiormente di ciò che la vita può offrire e di ciò che voi potete ancora offrire ad essa.

venerdì 10 dicembre 2010

Psicologi e guaritori d'omosessualità

Intervista di Saverio Tommasi a 100 psicologi sulle "terapie riparative"



Tutto il rispetto per i miei colleghi...rispetto in quanto esseri umani, perchè io rispetto la dignità dell'essere umano.
In quanto psicologo professionista della salute mentale non posso però rispettare questi colleghi; ne prendo le distanze e, voglio esagerare, condanno il loro agire!
L'Ordine Nazionale degli Psicologi si è espresso molto chiaramente in merito alle cosiddette "terapie riparative" dell'omosessualità: NON ESISTONO e quelle messe in atto sono assolutamente prive di alcun fondamento scientifico.
Quando una persona mi contatta per un appuntamento perchè ha un disagio psicologico, di qualunque tipo, io cerco di vedere chi ho davanti come una persona innanzitutto.
Una persona che soffre perchè non sa da dove derivi la sua sofferenza, sia essa depressione, ansia, panico, ossessioni, fobie o qualunque altro disturbo.
La persona omosessuale che mi contatta lo fa perchè depressa oppure ha gli attacchi di panico o l'ansia sociale o ha sviluppato qualche altro sintomo a causa, nella stragrande maggioranza delle volte, della pressione sociale che DEVE subire in quanto omosessuale (OMOFOBIA).
Quindi non è l'omosessualità il problema di queste persone ma ciò che la società e l'ambiente in cui vivono provocano in loro a causa della loro sessualità.
Non è mai venuto da me una persona eterosessuale chiedendomi di "riparare" la sua sessualità.Perchè?
Perchè forse l'eterosessualità è il GIUSTO orientamento sessuale?
Ebbene no. L'omosessualità non rientra più fra le patologie mentali da 20 anni circa; inoltre, un dosaggio ormonale (cosa che ho sentito dire...) non dimostra che una persona ha più o meno ormoni sessuali maschili o femminili e, quindi, a causa di ciò è omosessuale.
Infine, se fosse davvero una sessualità sbagliata, ci sarebbe da chiedersi perchè esiste da sempre, fregandosene anche della teoria dell'evoluzione di Darwin.
L'omosessualità è un orientamento sessuale al pari dell'eterosessualità.
La società e la cultura in cui viviamo la condanna, piena com è di pregiudizi e stereotipi su ciò che è giusto e non, su ciò che si deve o non deve essere, su chi e cosa una persona può amare e non.
Da piccoli ci insegnano già tutte queste cose: se nasci maschio ecco il tuo gigantesco fiocco blu ad identificarti, assieme ad una scorta di macchinine, soldati, guantoni da box o qualunque altra cosa possa farti notare e segnarti per tutta la vita come maschio eterosessuale; se nasci femmina, invece, ti aspetta il meraviglioso fiocco rosa già pieno di pizzi e merletti (visione futura di ciò che dovrai imparare a fare...), orsacchiotti, bambole, cucine superaccessoriate, aspirapolvere formato bambina a ricordarti che tu, donna, dovrai attenerti al ruolo di moglie/madre/amante/casalinga che la società si aspetta.
Deviare da questi prototipi imposti dalla società (sessismo ed eterosessismo) etichetta qualcuno come diverso, sovvertitore di regole prestabilite (da chi poi?).
E l'omosessuale diventa un diverso; ed ecco scagliarsi su di lui l'odio e il rigetto della società: questa è omofobia.
E non vi sembra forse normale che, spesso, depressione, ansia, panico, fobia sociale e chissà che altro, siano compagne delle persone omosessuali?
E non è forse normale che una persona omosessuale, spinta dall'esasperazione, dalla disperazione per una società che gli da contro, spesso anche la famiglia stessa, cerchi soluzioni IMPOSSIBILI come le terapie riparative?
Io dico che è normale che accada ciò.
La correttezza dello psicologo però deve stare nel comunicare a queste persone da cosa deriva il loro disagio e aiutarle in un percorso di accettazione non dell'omosessualità in se ma dell'idea che di essa ha la società in cui vive: l'omosessualità non è malattia, non è diversità, non è sbaglio o peccato o colpa.
Nessuno chiede una terapia riparativa per l'eterosessualità e nessuno deve chiederla per l'omosessualità.
Vivere al meglio delle proprie potenzialità, esprimendo se stessi nel rispetto degli altri, assertivamente e senza lasciare che la propria autostima ed efficacia personale venga intaccata dal pregiudizio, dall'ignoranza e dall'omofobia.






martedì 7 dicembre 2010

Quando una storia finisce si può rimanere amici?

E sto abbracciato a te senza chiederti nulla,
per timore che non sia vero che tu vivi e mi ami.
E sto abbracciato a te senza guardare e senza toccarti.
Non debba mai scoprire con domande, con carezze,
quella solitudine immensa d'amarti solo io.
~ Pedro Salinas ~



Ascoltando la radio, mi è capitato di sentire un sondaggio lanciato dai conduttori sulla possibilità dell’amicizia fra uomo e donna e, in particolare, fra due persone che si sono lasciate.
Molti potrebbero pensare che è impossibile o altamente improbabile che si realizzi la famosa frase “rimaniamo amici!”.
Ma perché mai dovrebbe essere così difficile mantenere una relazione affettiva d’amicizia con qualcuno che abbiamo amato?
Probabilmente, molto dipende dal modo in cui finisce una storia d’amore.
Una coppia che non ha mai avuto un buon livello di comunicazione difficilmente affronterà il tema della separazione in modo adeguato.
Questo non vuol dire che separarsi sia facile, tutt’altro.
Ci si lascia per i più svariati motivi: incompatibilità, difficoltà di comunicazione, difficoltà a mantenere alta la passione all’interno della coppia e, ovviamente, la fine del sentimento, almeno per un membro della coppia.
Relativamente ai primi motivi (che sono solo alcuni fra i tanti) si può lavorare sia in coppia che, se non ci si riesce, con l’aiuto di un professionista.
Spesso, infatti, sono i nostri pensieri automatici negativi a creare disagio all’interno della relazione: gelosie incontrollate, aspettative esagerate sull’altro, incapacità a comunicare bisogni e desideri portano facilmente a incomprensioni con il partner che, a lungo andare, se non elaborate, possono condurre alla chiusura di un rapporto.
Può capitare che, nonostante gli sforzi della coppia di andare avanti, l’amore finisca comunque.
L’amore è un sentimento che ha un inizio e che può, ebbene si, avere anche una fine.
Quando l’amore finisce ci si chiede se avremmo potuto far qualcosa per mantenere vivo il sentimento del partner; spesso ci incolpiamo per ciò che è accaduto con vari “se solo…”
Quando due persone si lasciano si innesca un meccanismo molto simile a quello del lutto.
Di fatti, quando ci si separa, si perde una persona cara, anche se non definitivamente e si attraversano 5 fasi: il rifiuto, il dolore, la rabbia, il senso di colpa, la paure a, infine (che si spera arrivi per tutti), l'accettazione.
Si potrebbe ipotizzare che queste fasi le “subisca” molto più pesantemente il membro della coppia che “è stato lasciato”..
Il rifiuto è la prima reazione alla notizia, lo schiaffone che ci coglie alla sprovvista: “è finita!”.
Rimasti soli, si prova il dolore e la tristezza per la perdita della persona amata: esemplare l'immagine comune di vari film di un membro della coppia che si trascina per casa in pigiama consumando quintali di gelato..
Arriva poi la rabbia e, di conseguenza, il pensiero di aver subito un torto, un’ingiustizia.
Oppure, se non si addossano le colpe all’altro, siamo arrabbiati perché è finita, perché non è giusto che sia finita, perché erano stati fatti progetti per un futuro che ora si schianta contro un muro di mattoni e si infrange in mille pezzettini.
Partono dunque i sensi di colpa, i famosi “se solo io avessi fatto, detto, pensato ecc…”
Infine, dopo un tempo che è diverso da persona a persona, arriva l’accettazione per ciò che è successo e siamo pronti ad andare avanti con la nostra vita, portando nel cuore il ricordo di quell’amore che abbiamo provato.
Ebbene, finita la lunga spiegazione, la domanda arriva spontanea: perché se c’è accettazione non ci può essere continuità nel rapporto con una bella amicizia?
Probabilmente, spesso, le persone non superano le 5 fasi e restano attaccate ai loro sentimenti di rabbia oppure la tristezza si protrae così a lungo da diventare vera e propria depressione.
Ed ecco che il solo pensare di avere contatti con l’ex partner ci fa arrabbiare o ci fa sprofondare nella tristezza, che solitamente sono le due emozioni prevalenti.
Per superare la rottura di un legame c’è un tempo fisiologico proprio di ognuno, durante il quale “ci si lecca le ferite”, si dovrebbe guardare e imparare dai nostri e altrui errori, si matura emotivamente.
Se si è riusciti a comunicare efficacemente con il partner, difficilmente ci sarà una rottura brusca e che non lascia spazio a possibilità future.
Basta prendere come esempio, sicuramente un po’ esagerato, il famoso film “La guerra dei Roses”, in cui i due membri (Michael Douglas e Kathleen Turner) arrivano a farsi tutto il male possibile, fino alla morte, senza aver mai espresso i loro sentimenti nei confronti dell’altro.
La rabbia, il dolore, l’umiliazione, l’amore e ogni genere di sentimento che si può provare, positivo o negativo, quando non espressi, ci spingono ad agire d’impulso a causa dei pensieri automatici che generano in noi.
E così l’altro diventa quello da perseguitare oppure da dimenticare completamente per il male/torto che ci ha fatto.
Io personalmente penso che si, si può rimanere ottimi amici dopo che una storia finisce e dopo che ogni membro della coppia ha superato ed elaborato la separazione.
Imparare a riconoscere le proprie emozioni e i propri pensieri automatici che impediscono di vivere le relazioni (affettive e non) serenamente, senza lasciarsi guidare dal proprio “pilota automatico” è essenziale in ogni occasione di contatto con gli altri, specie quando si tratta di una persona che ha avuto un posto speciale nella nostra vita.

sabato 4 dicembre 2010

Anoressia: magrezza....top!



Si deve sicuramente augurare a questa giovane ragazza una carriera e un futuro ricco di soddisfazioni, visto il traguardo appena raggiunto.
Grazie ai suoi 188 cm e ai suoi 45 kg, ha infatti vinto il programma "America's next top model" e si apre per lei la strada delle passerelle per le più belle!
Il BMI (Body Mass Index - Indice di Massa Corporea) di questa ragazza è indicativo di uno stato di anoressia.
È  assolutamente fuor di dubbio che nel caso di questa ragazza non si tratta di magrezza bensì di anoressia.
Anoressia è, innanzitutto, una condizione medica conseguente, molto spesso, a disagi psicologici.
Condizione medica in quanto, in una tale condizione di deperimento, si alterano valori fisiologici essenziali e si va incontro alla perdita di alcune normali funzioni dell'organismo (nelle donne, ad esempio, si interrompe il ciclo).
Anoressia non significa solo voler esser magre/magri: è, soprattutto, un'incapacità a vedere il proprio corpo magro. Le persone che soffrono di anoressia non si vedono magre perchè hanno un disturbo dell'immagine corporea, termine che sta ad indicare il vedere parti del proprio corpo come grosse/grasse (per le donne soprattutto i fianchi o le cosce).
L'anoressia è una malattia, fisica e mentale, che può portare alla morte.
Fare "pubblicità" come queste, senza annesse spiegazioni della pericolosità dell'esser così magri, è sicuramente controproducente per una generazione di giovani molto affascinata dai facili successi e, talora, sprovvista di saldi valori personali e di vita.
Cosa potrebbe condurre una persona, specie i più giovani, a voler ridurre il proprio corpo a tale stato di sofferenza?
Le spiegazioni possono essere molte ma troppo vaghe. Ogni individuo ha la sua storia personale e, di conseguenza, il disturbo che sviluppa una persona ha origine nelle sue personalissime problematiche di vita.
Spesso il disturbo alimentare può rappresentare l'estremo tentativo da parte di una persona di manifestare un disagio all'interno del proprio nucleo familiare.
Facilmente nei soggetti anoressici si riscontra il pensiero che avere il controllo sul proprio corpo permette di compensare il caos che regna nell'ambiente in cui vivono.
Sarebbe a dire, visto che non riesco da solo a controllare un problema personale (la famiglia, l'amore, le amicizie) esprimo questa sofferenza tramite il corpo, che è l'unica cosa che riesco a controllare (attraverso il peso e, quindi, mangiando o meno).
Può capitare che una persona trovi difficoltà nell'esprimere le proprie emozioni e i propri pensieri all'interno di un contesto che, forse, lo impedisce.
Questo tipo di sofferenza potrebbe essere manifestata attraverso il proprio corpo e il rifiuto del mangiare o attraverso l'abbuffata, come nel caso delle persone bulimiche, per soffocare quelle emozioni intollerabili.
Può accadere che, per le persone con questo tipo di disturbo, il non mangiare e, quindi, il continuo dimagrimento, sia l'unico modo che hanno per ottenere attenzione dalle persone care.
Altre volte vi sono disagi più profondi e complessi, spesso frutto di pensieri negativi su se stessi, sul proprio valore e sugli altri.
È molto importante supportare queste persone attraverso un adeguato percorso terapeutico, che le aiuti ad affrontare ed elaborare il proprio disagio in modi più funzionali.
L'anoressia è una malattia non un metodo per ottenere successo nella vita e dall'anoressia si può guarire.


giovedì 2 dicembre 2010

Giornata mondiale della lotta all'AIDS..Chi combatte?

Ieri, 1 Dicembre 2010, è stata la giornata mondiale della lotta all'AIDS...Mondiale!
I vari motori di ricerca non hanno nemmeno messo, nelle loro pagine, il caratteristico fiocco rosso.
Pochi giorni fa è stato celebrato il non so quanti anni di Pippi Calzelunghe e tutti i siti riportavano questa notizia...
Con tutto il rispetto per Pippi, devo ammettere che mi ha rattristito notare quanto poco si è parlato di una cosa così importante come è la salute, la salute mondiale e la salute riferita ad una malattia ancora così potentemente diffusa e mortale.
Ma non voglio star qui a dire quanto mi potrebbe far rabbia e tristezza la politica giornalistica del fare o no pubblicità ad un evento mondiale come quello di ieri.
Quello che vorrei scrivere e, quindi, far passare è l'importanza enorme che deve avere la conoscenza e, di conseguenza, la prevenzione di una malattia come l'AIDS.
AIDS sta per Sindrome da ImmunoDeficienza Acquisita, cioè la perdita, da parte dell'organismo, della sua naturale capacità di difendersi dalle infezioni, a causa della elevata compromissione (immunodeficienza) del sistema immunitario.
Di fatto, per semplificare enormemente, AIDS è lo stadio finale cui può arrivare l'infezione causata dal virus HIV (Virus dell'Immunodeficienza Umana).
Quindi, HIV è il nome del virus, sieropositivo è il soggetto che ha contratto il virus HIV, AIDS è una condizione clinica in cui si manifestano alcune determinate malattie a causa dell'eccessiva compromissione del sistema immunitario.
Fatta questa piccola chiarificazione, mi chiedo e chiedo a tutti: non è forse importante parlare di AIDS, di prevenzione e di supporto psicologico?
Io dico di si e quindi ne parlo. Ne parlo rivolgendomi a tutti, nessuno escluso: vi sono persone che pensano ancora che l'AIDS è la malattia delle persone omosessuali o dei tossicodipendenti.
Sbagliato!
L'AIDS colpisce tutti: l'ultima stima effettuata nel 2008 dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Salute) non differenzia fra omosessuali ed eterosessuali o fra tossicodipendenti e non, così come non lo faceva prima.
Tutti posso egualmente contrarre l'infezione; tutti possono mettere in atto comportamenti a rischio di contagio; tutti possono contagiare a altri se non fanno il test, specie quando sanno di avere comportamenti a rischio.
Ecco perché è importante parlare di AIDS: per fare prevenzione e far capire alla gente l'importanza dei controlli, per tutelare la propria e l'altrui salute.
Spesso, alcuni pazienti mi riportano la gran paura che sta dietro al non voler fare il test.
Paure spesso irrazionali, di un futuro privo di felicità, passato da soli, senza nessuno affianco a causa della malattia.
Paure dei sensi di colpa o pensieri che se fosse positivo il test allora sarebbe come essere già morti!
In molte persone questi pensieri potrebbero far rinunciare a prendersi davvero cura di se stessi effettuando il test.
Le persone, per salvaguardare la propria salute e, quindi, fare prevenzione innanzitutto su se stessi, possono rivolgersi ad uno psicologo, per sbloccarsi dalle eventuali paure che li bloccano e da quei pensieri negativi e irrazionali che paralizzano l'agire e trovare supporto nelle fasi prima e dopo il test.
Evitare una responsabilità come quella del fare il test potrebbe avere conseguenze negative in futuro: depressione, ansia, senso di autostima e auto-efficacia diminuiti potrebbero sorgere nei soggetti sieropositivi che non trovano adeguato supporto psicologico alla loro condizione mentre nei soggetti sani la paura della malattia li può paralizzare nella sfera sessuale e sociale o far si che l'ignoranza su temi come la sieropositività li porti ad avere pregiudizi e terrore/orrore di persone che hanno contratto il virus.
Fare prevenzione ed ottenere un supporto per affrontare serenamente una situazione di salute è un grande segno di responsabilità e amore verso se stessi.
Vivere la condizione di sieropositività "serenamente", evitando di mettere ulteriormente a rischio la propria salute e fugando paure e pensieri negativi irrazionali causati dalla malattia può essere possibile se ci si lascia aiutare da un esperto che possa aiutare ad affrontare la propria malattia.

1 Dicembre 2010 GIORNATA MONDIALE DELLA LOTTA ALL'AIDS: Impariamo a lottare tutti insieme



martedì 30 novembre 2010

Amore ti ho tradito...ma non te lo dico!

Qualche giorno fa leggevo uno dei giornali romani che distribuiscono nella metropolitana e, finito di leggere le notizie che mi interessavano, mi sono "rilassato" leggendo i messaggi dei lettori..
Di norma, la trovo un'attività rilassante e anche divertente ma questa volta mi ha anche dato spunto di riflessione.
C'era un'intensa discussione su una dichiarazione fatta il giorno prima da una lettrice, che affermava di aver incontrato una "vecchia fiamma" e che si era lasciata sedurre da quest'uomo, tradendo, quindi, il marito, con cui sta assieme da circa quindici anni.
Nel suo messaggio al giornale ammetteva il senso di colpa per ciò che ha fatto e la sua attuale confusione nel non sapere cosa fare con il proprio compagno.
I commenti dei lettori erano tutti abbastanza taglienti e accusatori: non avresti dovuto farlo, che razza di moglie sei, meglio che lo lasci, pensa ai tuoi figli e al benessere del matrimonio, ecc. ecc.
In nessun messaggio ho potuto leggere qualcosa di forse ovvio tipo: cosa ti ha spinto a farlo?ti ha resa felice fare ciò?
Molti potrebbero dire che se adesso la signora ha i sensi di colpa, probabilmente non è molto felice.

mercoledì 24 novembre 2010

Si comincia!

Benvenuti a tutti coloro che vorranno essere lettori di questo mio blog.
Dopo l'esperienza, ancora incompleta (ahimè!) del mio sito (www.psicologhiamo.it), ho deciso di intraprendere anche questa avventura del blog.
Immagino ci vorrà più pazienza e soprattutto più costanza per cercare di mantenere viva l'attenzione e la curiosità.
Anche qui, ovviamente, mi dedicherò a parlare di psicologia, in modo semplice e diretto, cercando di evitare tanti psicologismi che troppo spesso creano solo confusione nelle persone.
Spero di poter affrontare tematiche di interesse comune e quotidiano, in maniera chiara ma pur sempre da un punto di vista professionale.
A presto!
Mariano Fischetti

ShareThis